O del riscatto baronale, dei quattro altari

Esiste un luogo ben preciso nella memoria di ogni abitante di Torre del Greco che è occupato da un evento incredibilmente popolare nel pieno senso della parola, vissuto dal popolo in maniera verticale e immaginifica.

Sto parlando della Festa dei Quattro Altari, o anche “‘a festa i l’uttava” (in italiano “la festa dell’ottava” poiché ricadeva storicamente otto giorni dopo la festa religiosa del Corpus Domini) le cui prime testimonianze risalgono addirittura al XVI secolo, ereditata da una processione simile che si faceva a Napoli a quel tempo. In quel caso, i quattro altari non erano che drappi raffiguranti eventi religiosi posti in altrettanti snodi della processione e che col passare dei secoli si sono trasformati in colossali tele dipinte e decorate dagli artisti locali.

La storia della festa, addirittura, passa per mano anche di Stendhal che ne “il Rosso e il Nero” parla di questo evento legato poi al riscatto baronale allo scoccare del XVIII secolo che riassetta la città come appartenente al regno di Napoli.

Chi fraveca e sfraveca…

Ma perchè questa ricorrenza è diventata così radicata?
La risposta non sarebbe unica, però cercando tra le varie ragioni riguardanti l’adorazione religiosa e profana credo sia fondamentale un elemento che ha sempre contraddistinto torre del greco nella sua semplicità: La tradizione artistica.
La stessa che è sopravvissuta per 3 secoli nonostante i tentativi suicidi di farla collassare in nome di una gelosia morbosa e venale da parte di pochi feudatari che in due secoli hanno ridotto l’eredità artistica a una casta che piano piano, col tempo, ha prodotto sempre meno frutti.

Ma torniamo al discorso:
La capacità, la predisposizione e l’eredità artistica di pittori, incisori e scultori, ha sempre vissuto questa festa come il punto Climatico più alto della loro produzione, regalando così alla città delle vere e proprie visioni artistiche a metà tra miraggi biblici e simbolismo catastrofico.
(il Vesuvio eruttante o i richiami alla distruzione dei terremoti sono stati quasi sempre presenti nella narrazione dei bozzetti)
Insieme a loro, tutta la città che un po’ per vanto, un po’ per meraviglia e un po’ per prossimità (spesso anche parentale) si è riversata in strade, chiese ed edifici pubblici per fotografare quello che era stato il lavoro di un intero anno.

Provate ad immaginare: 4 punti cardinali della città da cui spiccano tele alte 20 metri e larghe una dozzina svettanti di colore, prospettive nuove e trompe l’oeil più una quinta sede, nel mezzo della via marittima del centro cittadino, in cui veniva eretto un quinto altare incorniciato in legno, tridimensionale, fatto con materiali di fabbrica, risulta e scarti di incisione chiamato proprio “L’ardare i fraveca” ovvero l’altare di Fabbrica.


i 15 anni del grande vuoto

Non ho mai fotografato la festa dei quattro altari, nonostante la conosca dal 1984.
Questo perchè la mia prima macchina fotografica l’ho ereditata da mio padre nel 2008 e ci tenevo così tanto che non volevo assolutamente danneggiarla o perderla nella fiumana di queste 72 ore.

Senza sapere che l’anno successivo sarebbe stato l’ultimo anno della festa.

Era il lontano 2010 e a Torre del Greco si respirava un’aria di crisi sociale dovuta all’efferata delibera che prevedeva la chiusura di uno dei più grandi ospedali della Campania (P.O. Agostino Maresca) in nome di una gestione malavitosa e privatistica della sanità nel territorio vesuviano, avallata dall’allora sindaco che, decise di recidere il legame di Torre del Greco con la festa.
Se all’inizio questa mossa sembrava un atto di rispetto verso quelle che erano ingerenze prioritarie come la salute pubblica, essa rivelò presto la sua faccia come mossa politica di ulteriore miopia e malagestione.

Risultato?
La festa scomparve.

per 15 lunghi anni.

Il ritorno della festa


Senti ho bisogno di un collega fidato per coprire gli eventi della festa, ci sei?

La domanda che mi ha rivolto il compagno e collega Mimmo Torrese è stata una specie di sveglia dal letargo e un modo per esorcizzare una paura legata alla mia quasi totale sfiducia verso la gestione professionale dei grandi eventi da parte dei comuni, in generale.
Dopo 15 anni starò in giro per 3 giorni a scattare foto, mandarle in giro, documentare… Quello che mi riesce meglio, insomma.

E così è stato, dall’inaugurazione a passo di banda con tanto di sindaco in maniche di camicia (40 gradi percepiti, per la settimana di caldo record che ancora stiamo scontando) fino al tradizionale fuoco a mare, la chiusura pirotecnica della celebrazione dal porto di Torre del Greco, simbolo in piperno e ferro di una storia lunga quasi 400 anni, passando per un eccezionale concerto per banda e film di Totò

Quello che ho visto e che è rimasto impresso nella memoria digitale della macchina fotografica è stata una festa di sospiro, una festa senza costrizioni, nata nella fretta e finita nella speranza che nu poco ‘e bene, alla fine si può vedere.

Per una volta è stato bello essere smentiti e alzare la testa dai basoli per guardare in faccia, finalmente, ottantamila persone che anche solo per tre giorni hanno vissuto una Città.